Alla mostra del MUDEC su Frida Kahlo a Milano a un certo punto mi sono guardata intorno. C’erano persone delle età più disparate, dai 20 ai 60 anni, sia maschi che femmine (più femmine però). A quel punto mi è stato lampante: il personaggio di Frida Kahlo è riuscito a diventare una figura trasversale.

Artista, icona e quasi leggenda, Frida Kahlo. La mostra curata da Diego Sileo, come suggerisce il titolo “Oltre il mito“, ha l’obiettivo di cambiare la lente con la quale si è sempre vista Frida, quella autobiografica, per gettare luce sulla Frida artista dalla sensibilità raffinata e sperimentatrice. 

Una sfida ardua poiché guardando i suoi quadri è difficile avere una lettura scollata da quella che è stata la vita di Frida, costellata da così tanto amore e così tanta sofferenza. Una sofferenza indicibile, cominciata con quel tragico incidente in tram quando era ragazza, che la portò ad avere tre aborti e infine l’amputazione di una gamba, con una costante convivenza col dolore.

Difficile appunto staccarsi da tutto ciò, anche perché la figura dell’artista è onnipresente nei propri quadri: è un continuo specchiarsi in quegli occhi, profondi come due pozze e così enigmatici, sensuali, scrutatori.

Sarà anche per questa densità trasudante di vita che quando guardi un quadro di Frida, stai anche guardando te stesso. Sei invitato brutalmente a chiederti se anche tu hai toccato il fondo con qualcosa di simile a quel dolore, se sei mai venuto a tu per tu coi tuoi demoni. Se stai apprezzando realmente la tua vita, se sei davvero immerso nel suo flusso o ne stai risparmiando più di qualche goccia.

Questo è un altro grande potere dell’arte di Frida Kahlo, secondo me: così inevitabilmente autobiografica e tutt’uno con la sua vita, ma così densa di significati universali, di umanità nella quale rivedersi, per cui è un’arte che interroga chi la guarda, con una tenerissima spietatezza.

Della mostra mi porto a casa una frase in particolare, contenuta in una tenera lettera di Frida alla sua nipotina Isolda:

Per Isolda bella del mio cuore […] perché ha intrapreso la strada migliore per la sua vita, che è quella di essere libera e bastare a se stessa.

Tra tutte, questa è la foto che mi è piaciuta di più, perché Frida non ha i soliti abiti tipici del suo folklore e ha i capelli sciolti. Raramente infatti li scioglieva perché Diego Rivera la preferiva con i capelli raccolti nelle acconciature variopinte e complesse che sono diventate uno dei suoi marchi distintivi, assieme alle sopracciglia unite e ai baffi.

Frida era una donna appassionata e dai sentimenti viscerali. Il quadro che dipinge dopo la scoperta del tradimento di Diego (niente meno che con la propria sorella Cristina, altro che disagi da Tinder!), era stato ispirato da un fatto di cronaca nera di una donna accoltellata da un uomo per gelosia. In sede di processo l’assassino si era difeso dicendo: “ma erano solo pochi colpi di coltello!“. L’opera riprende questa frase e la cornice stessa è piena di macchie rosse dipinte, come fossero il sangue di Frida: quel tradimento di Diego (l’ennesimo) per lei era stato come essere trafitta a morte. Pare che a dipinto finito Frida si accanì sul quadro stesso con un coltello: e infatti a ben guardare, la cornice di legno riporta proprio i segni di quella rabbia selvaggia.

Ho avuto due gravi incidenti nella mia vita. Il primo fu quando un tram mi mise al tappeto, l’altro fu Diego.

Alla fine della mostra vi sono anche degli scatti inediti fatti al bagno di Casa Azul, rimasto inaccessibile per 15 anni per volere di Diego che vi radunò tutti gli accessori di Frida. Negli scatti del bagno di Frida, resi drammatici dal bianco e nero, ci sono i busti, le stampelle, i potenti antidolorifici. Poi, un camice di Frida, sporco di sangue. E un manifesto con Stalin.

Infine, in una sala della mostra c’è un mini film restaurato con sequenze di estrema tenerezza tra Frida e Diego. In un frangente Diego è seduto su una sedia e accanto a lui, a terra, c’è Frida, che lo guarda con gli occhi di un amore incommensurabile. Diego protende una mano verso di lei, che la afferra senza esitazione e la fa sua, la porta al proprio viso, si accarezza, poi la bacia, dolcemente e sensualmente, come in una passionale adorazione di lui.

Mentre in sottofondo c’era proprio la canzone “Diego e io” di Brunori Sas.

Mi sono seduta a terra e ho rivisto quella scena più volte, ogni volta cercando di carpire un po’ di più di quella sua anima così fragile e complessa.