La cultura che ci ha allattati ha trasmesso l’idea che se sei una donna, ricevere apprezzamenti o commenti per strada è assolutamente normale. Anche per questo il catcalling in Italia è un fenomeno ancora molto diffuso e la cui gravità viene ancora sminuita.

Se ne è parlato anche di recente, per via delle dichiarazioni di Raffaele Morelli a RTL 102.5: “Se una donna esce di casa, e gli uomini non le mettono gli occhi addosso, deve preoccuparsi, perché vuol dire che il suo femminile non è presente in primo piano,” ha affermato lo psichiatra in radio, suscitando giustamente molte reazioni. Come a dire che esisti, sì, ma in funzione dello sguardo maschile.

Quando si parla di catcalling sui social, però, si assiste sistematicamente alla minimizzazione o negazione del fenomeno. Commenti da uomini e donne, la metà dei quali vanno solitamente contro la vittima, seguendo diverse modalità: dallo sminuire il problema a additare la vittima insinuando che ci sia qualcosa che non va in lei se non “sa apprezzare” quei “complimenti” ricevuti per strada.

Ho voluto chiedere il parere di un esperto per capire qual è il sistema di pensiero da cui scaturiscono queste tipologie di commenti sul catcalling in Italia. Così ne ho parlato con Lorenzo Gasparrini, scrittore, filosofo e attivista femminista, autore di diversi libri tra cui Non sono sessista ma… Il sessismo nel linguaggio contemporaneo (Tlon) e NO. Del rifiuto e del suo essere essenzialmente un problema maschile (EffeQu).

Per questo articolo ho preso spunto da alcuni commenti letti sotto a un post della scrittrice Carolina Capria e ricevuti anche sulla mia Pagina Facebook Match and the City.